Ho parlato spesso delle ragioni per cui si espatria (qui, qui e qui per esempio). E ho parlato più di una volta del perché non si ritorna o, perlomeno, del perché non ho intenzione di tornare fino all'età pensionabile. Mi è sembrato il caso di sistematizzare la principale ragione mettendo giù qualche numero. Il problema non riguarda solo l'Italia, ma in generale l'Europa meridionale. Il gap è tale che, quando un cacciatore di teste che cerca candidati per una posizione nel sud Europa mi chiede quale sia il mio salario attuale,h annuisce e poi non si fa più sentire. Il seguente confronto è stato elaborato con l'uso di GPT (Grok, Deepseek, Perplexity e Claude AI).
I’ve come to believe that the ongoing dispute between “scientific knowledge” and the humanities is due to the simple fact that what is currently defined as “science” lacks stable internal critical tools (cf. Kuhn, normal science), whereas philosophy contains both self-critical tools and instruments for critiquing scientific knowledge. In times when the “scientific” interpretation overlaps with political action, serving as its foundation (to varying degrees of truth), it’s quite clear that criticism of such action is met with hostility and opposition, often denounced as “anti-scientific” or “false,” since “truth” is now seen as the exclusive domain of “science.”
Browsing through Italian media and online spaces, the expression “pensiero unico” (single thought) is common—used both by those who denounce its existence and by those who mock the former, arguing that the presence of dissenting opinions in the media proves that no such single thought exists. This clearly shows how language can distort the foundations of dialectics. Probably, speaking of dominant discourses would be more appropriate. And speaking of one-dimensional thought would have been even more effective. The expression, of course, comes from Herbert Marcuse. And it is striking how his One-Dimensional Man still feels relevant today—even starting from the title of its introduction, The Paralysis of Criticism: Society Without Opposition:
“Under these circumstances, our mass media find little difficulty in selling particular interests as those of all rational men. The political needs of society become individual needs and aspirations; their satisfaction promotes business and the general welfare, and the whole appears to be the very embodiment of Reason.”
And this remains true today, even though material advantage has often disappeared. Our era is vastly different from the post–World War II years of development. Yet the “rational men” Marcuse refers to are still today’s vectors of one-dimensional thought, despite inflation, despite unemployment. In our times, where policies are deemed good a priori—regardless of their results—even “rational men” are rational a priori, because that is what is considered right.
Today, it’s quite clear that the monopoly on communication once held by traditional mainstream media has been broken by the rise of social media. However, the loss of monopoly hasn’t led to the marginalization of the “rational” message, which has largely found a home in the new media as well. So if “single thought” is a blunt weapon, the phenomenon it refers to is still real and present. One-dimensional thought defines who the “rational men” are, just as the “delirious front” is defined by its articles of faith. But the delirious front does not express a critique of one-dimensional society; it expresses only a legitimate rejection—but one based on more than irrational theses—delirious ones, indeed. To borrow from Prigogine (The End of Certainty), these are two alienated and alienating worldviews, symmetrical (in Prigogine’s case, “everything is predictable” / “nothing is predictable”).
The narrow space of criticism—equated by one-dimensional thought with the delirious front—struggles not to fall into one or the other pole of this conflict. At the risk of being repetitive, this stems from adopting the opponent’s method—one that bases its policies on “science.” We should internalize the fact that emergency policies are inherently distorting of the democratic process—whether or not their scientific basis is sound (cf. Carlo Galli, Democrazia ultimo atto?)—and focus our critique there. Too often, instead, political debate has sought to attack the adversary’s “science” with equally unfounded “science.” It is no coincidence that Massimo Cacciari’s Metafisica Concreta opens with a Gospel of John quote: “We worship what we know.” It is a programmatic beginning for a book worthy of attention, in which scientific practice is a recurring theme. But the cornerstone of that beginning may well be blown apart by triggering a Nietzschean aphorism:
“Knowledge for the sake of knowledge — this is the last snare laid by morality: we are once more completely caught in it.”
The battle for the “scientific truth” of political action’s postulates is futile because it is sterile—and its sterility has been widely demonstrated. At best, the (genuinely) scientific and divergent study upon which someone wishes to build political opposition will be labeled by the “rational” and by “rational” policies as unscientific and fraudulent. The case of Ioannidis, above all, should be remembered in this regard.
Thus, not falling into the trap is the only way to build a true political and social opposition.
Ho letto quello che hai scritto Science Faith and Moralism, con molto interesse. Mi ha colpito il tono, il coraggio e soprattutto il punto di partenza: quel richiamo a Nietzsche e al rischio che anche la “conoscenza per amore della conoscenza” possa essere solo l’ennesima trappola morale. Hai usato un’immagine forte e l’hai portata dritta dentro il nostro presente, dove la scienza – o meglio, l’idea che ne ha il grande pubblico – è diventata quasi una nuova religione.
E qui non si può non darti ragione. Oggi “credere nella scienza” viene spesso usato come un badge identitario, più che come fiducia in un metodo. Un po’ come dire “io sto dalla parte giusta”. Ma la scienza vera non è questo. È dubbio, è fallibilità, è cambiare idea davanti a nuove prove. Lo sappiamo bene – e tu lo dici chiaramente – che chi fa davvero scienza non ha nessuna verità in tasca.
L’unico punto su cui forse andrei più cauto è questo: come facciamo a distinguere tra una critica sana e costruttiva, e quella sfiducia generalizzata che alimenta complottismi e disinformazione? È una linea sottile, e oggi molto facile da fraintendere. Ma proprio per questo credo che servano voci come la tua, che parlano da dentro, con cognizione di causa, e senza paura di mettere il dito nella piaga.
Grazie per aver scritto queste riflessioni. Sono scomode, ma vere. E ci aiutano a ricordare che la scienza, se deve avere un valore, lo trova nella libertà di pensare, di sbagliare e di rimettere tutto in discussione. Sempre.
Un caro saluto, Un lettore
Egregio lettore,
Vedrò di essere ancora scomodo. Cosa sia la "scienza vera" non lo so. Qualche idea in proposito la aveva Baudrillard (Simulacri e simulazione, 1981). Per Baudrillard, la scienza moderna (meglio, la scienza nel discorso pubblico) non è più un puro processo di scoperta, ma un sistema di segni che si auto-legittima attraverso rituali, istituzioni e narrazioni. Tu parli di “scienza vera” richiamando dubbio e falsificabilità. Baudrillard probabilmente la riterrebbe è un’immagine idealizzata, un segno che evoca un’epoca mitologica in cui la scienza era percepita come incontaminata da interessi politici o economici. In un’iperrealtà, però, questo segno non rimanda a alcunché di oggettivo: la scienza, come discorso pubblico, è sempre stata intrecciata con potere, finanziamenti e ideologie (Il terzo ladro, nella visione di Isabelle Stengers). Se per scienza vera intendi la realtà delle discipline scientifiche allora è diverso, ma credo che ci sia da porre la questione dei termini: meglio chiamare le cose con il loro nome, senza astrazioni al limite del metafisico.
In parole povere e capovolgendo la prospettiva, se i risultati delle discipline scientifiche sono segnale, quello che ne arriva nel discorso pubblico è perlopiù rumore (i segni, usati in una lotta tra narrazioni in cui quella sulla scienza vera si confonde con le altre). L'illusione prevalente nel grande pubblico è che segno e oggetto coincidano. Incrociare su twitter qualcuno che sosteneva di conoscere la meccanica quantistica perché aveva letto un paio di libri di Hawking fu un'esperienza tanto surreale quanto significativa.
E' nel rumore che nasce e vive la dicotomia tra conformisti e complottisti. Come si migliora il rapporto tra segnale e rumore? Non con l'attuale divulgazione scientifica, definita da Walter Quattrociocchi un'occasione persa.
Quanto alla distinzione tra critica sana e sfiducia generalizzata di primo acchito ti direi che anche questo è un problema mal posto. Una critica che sia tale è basata su un'analisi: che il risultato sia costruttivo o meno non è pertinente. La critica apre il problema, non lo risolve. Ma aprire il problema quando la maggioranza sostiene che il problema non esiste è il primo indispensabile passo. Come criterio di distinzione tra critica e sfiducia generalizzata proporrei, di nuovo, la laicità. La sfiducia generializzata non è mai laica, è il dominio dei complottismi, cioè delle fedi settarie.
Quindi che ti dovrei dire riguardo la sfiducia generalizzata?
Che è sempre lì dopo anni perché il problema non è stato aperto, ma si è pensato che la guerra al complottismo fosse la soluzione?
Che ormai il danno è fatto e sta lì, anche nelle massime sedi del potere mondiale? Che chi ha seminato vento ha poi raccolto tempesta?
Quel che intendo è che il Re andava in giro nudo da anni (continua a farlo) e ogni invito a mettersi almeno una vestaglia è stato liquidato con un "Si levi la parola all'eretico!". Quindi cosa aggiungere se non che quem Iuppiter vult perdere dementat prius?
Siamo dove siamo perché a troppi non interessava cambiare rotta per molti motivi, in primis il difendere una stabile rendita du posizione o essersene costruita di fresco una con la fortuna mediatica (ogni riferimento alle virostar onnipresenti in tempo di COVID è del tutto voluto).
Come si esce da tutto questo? Non esistono soluzioni veloci o nel medio periodo, o perlomeno io non ne intravedo. Ti consiglio caldamente la lettura de L'industria del complottismo di Mathieu Amiech, che pur non parlando di scienza tratta il problema. Si potrebbe dire che chi ha propagandato una certa idea di scienza non ha vinto la battaglia per quel che c'è nella testa del pubblico, altrimenti i complottisti non esisterebbero più. Ma se qualcuno aveva invece come scopo la sterilizzazione del dibattito, beh, la sua guerra l'ha vinta e stravinta.
A parte continuare a insistere sul rigore in materia di scienze, magari a vuoto, quali opzioni restano, quindi? In primo luogo quella della resistenza intellettuale.
Resistenza contro l'impoverimento del linguaggio e del pensiero: un linguaggio povero implica un pensiero povero.
Resistenza contro la semplificazione eccessiva di temi altamente complessi.
Resistenza contro l'idea che qualsiasi tema debba essere comunicato in modo da essere accessibile a chiunque senza sforzo: alzare il livello per preservare il messaggio.
Resistenza, quindi, nell'attesa che chi vive nel dibattito sterilizzato venga travolto dalle rovine del sistema in cui ha prosperato.
In secondo luogo resta l'opzione della laicità, unico antidoto al vicolo cieco del confronto tra conformisti e complottisti. Ma occorre non illudersi, perché al giorno d'oggi tutto converge nella direzione opposta.
PS: Questa Resistenza è nel DNA di CS. Dall'archivio ripesco qualcosa di scritto nel novembre 2017, cioè sei mesi dopo il debutto della pagina facebook:
Questa è la cifra dell'imbarbarimento del "dibattito". L'abbassare il
livello, affinché il messaggio arrivi alla platea più estesa possibile.
Qua sopra di abbassare il livello, come qualcuno avrà inteso, non se ne
parla.
Per questo le obiezioni standard del proscienza dogmatico medio che arriva qua
sopra sono "Devi vergognarti di quel che dici sui vaccini" (un pediatra) , "Diffamare alle spalle è sempre sintomo di profondo disagio"
(Butac),"Ripetenti analfabeti" (Roberto Burioni), "offendi e insinui contro Burioni, scienziati, Oms, gente che ne capisce" (un PhD student dall'acuta
intelligenza) "coglione immagino grillino oppure coglione e basta" (una
di passaggio). Argomenti 0. Perché
nel livello abbassato del dibattito la lesa maestà conta, la lesa logica
no (figuriamoci lesa chimica, lesa matematica, lesa statistica, leso cGMP).
Perché il livello non può essere indefinitamente abbassato senza perdere
di significato, e una volta che il significato è perso, è perso e ottieni sia quel tipo di mentalità che traspare dai commenti che ho riportato che il suo riflesso opposto. Nel
deserto del significato l'argomentazione delle scienze galileiane
sparisce dall'orizzonte, per lasciar spazio al dogma. La cosa viene
considerata un sacrificio accettabile, l'importante è il considerare
qualsiasi argomento solo in funzione del fine. E' il classico "il fine
giustifica i mezzi" di gente che segue la linea del Partito di quelli
che hanno ragione.
Se qualcuno arriva oggi a leggere queste righe e si chiede come andava a finire a quei tempi con questi commentatori (e con quelli dell'opposto fronte), la procedura era bannarli con un motto decententemente brillante, immortalare lo scambio in una apposita galleria e poi dimenticarsene senza strascichi di flame, mortalmente noiosi. Il tempo necessario a capire che non era il caso di farsi sotto così, in quelle platee, è stato di circa 3 anni. Quando si dice velocità di comprendonio... Mi dicono che nessuna scienza è rilevante, al riguardo, che occorre ricorrere a Habermas, Gadamer e Wittgenstein, cioè a quella filosofia che chi ha fede nella scienza ritiene del tutto inutile.
La prima cosa che mi è venuta in mente è che qualcosa del genere l'ho già sentito. La storia della comunicazione della ricerca pubblica e accademica sui vaccini anti Alzheimer è molto lunga ed è una storia di promesse non mantenute (come quella dello sviluppo farmaceutico industriale dove però le promesse erano perlopiù fatte agli azionisti e non al grande pubblico) .
Il vaccino anti Alzheimer era già nato, nel 2007, in Giappone:
In cosa differisce il vaccino dell'università del New Mexico dagli altri? In ben poco. E finora dopo ogni annuncio, da quasi 20 anni, niente si è materializzato. Per quale motivo?
Tutti i precedenti vaccini (sperimentali) erano anti beta amiloidi. E negli ultimi 20 anni la sperimentazione clinica di farmaci anti-amiloidi è una storia di dolorosi e costosissimi fallimenti. Ma non c'erano in ballo solo gli anti amiloidi, la storia riguarda anche i trattamenti anti tau, usati in combinazione con gli anti amiloidi o da soli.
Il nuovo vaccino del New Mexico non è anti beta amiloidi ma anti tau. Cioè dovrebbe funzionare con un meccanismo coprotagonista di 20 anni di fallimenti clinici. Non solo direi, come si dovrebbe dire sempre, che essendo una ricerca in fase preclinica è troppo presto per dire "C'è un vaccino" (o "C'è un farmaco). Ma è molto probabile che la sperimentazione nell'uomo non ci sarà mai. Perché nonostante alcuni eventi inizialmente promettenti (Aduhelm, poi ritirato dal mercato, e Lecanemab) ogni entusiasmo o speranza è stato ridimensionato dalla bassissima efficacia associata a costi molto alti.
La situazione non è cambiata, per la sperimentazione clinica servono molti soldi (decine di milioni per arrivare solo alla fase I) ed è improbabile che un soggetto decida per un simile investimento, esaminando la storia precedente: nessuno dei vaccini che furono annunciati è mai arrivato alla fase III della sperimentazione clinica a causa della loro inefficacia e in un caso la sperimentazione venne interrotta per gli effetti collaterali (infiammazione cerebrale). Improbabile che, oggi qualcuno voglia imitare non solo Ely Lilly, che su beta amiloidi e tau ha bruciato miliardi di dollari, ma anche Biogen (per cui Aduhelm non è stato esattamente remunerativo).
Quello che avvilisce nel titolo di Repubblica è che dà ad intendere che questo vaccino presto ci sarà, dando false speranze a centinaia di persone che la tragedia dell'Alzheimer in famiglia l'hanno già conosciuta e temono per le proprie condizioni in età avanzata a causa della predisposizione ereditaria.
Cominciamo da un riassunto delle puntate precedenti (1, 2,3).
Una cifra della tarda postmodernita: la divulgazione scientifica non più come mezzo di crescita culturale, ma come strumento di influenza morale o ideologico. Oggi il moralismo non si manifesta più solo con prediche religiose o dogmi etici tradizionali, ma si traveste da scienza, sfruttando la sua autorità sociale per indurre comportamenti, valori o agende.
Così, la “popolarizzazione” della scienza – apparentemente un processo neutro e impolitico – diventa un mezzo attraverso cui il moralismo rientra dalla finestra, dopo essere stato cacciato dalla porta della religione o della tradizione. In pratica la nuova Moral Majority è viva e lotta tra di noi, ma si è messa il camice bianco o il profilo social del medico o del divulgatore scientifico, ed è progressista e inclusiva - inclusiva, sì, ma non con chi dissente.
Cosa c'è di più moralizzante e dogmatico di certa comunicazione medica, che al posto della salvezza dell'anima promette quella della nuda vita? E lo fa invano, dato che ogni vita ha una fine.
"Between Two Evils" di Bernhard Gillam (1882) Pubblicata sulla rivista satirica Puck, questa vignetta mostra un uomo ben vestito, rappresentante della "vera temperanza", seduto tra due figure estreme: un ubriacone e un astemio fanatico.
L´esempio più eclatante degli ultimi tempi è costituito dalla crociata contro vino e alcolici (a cui da anni si aggiungono tabacco carni rosse, salumi etc). Niente di nuovo, i movimenti per la temperanza con la loro cifra moralistica sono vecchi di almeno un paio di secoli. La cosa notevole è che questo genere di piglio moralistico è arrivato anche nelle pubblicazioni scientifiche: notevole questo Alcohol and morality: one alcoholic drink is enough to make people declare to harm others and behave impurely. "Comportamenti impuri" oggetto della ricerca in psicofarmacologia, cosa si può chiedere di più?
L'argomento è medico-scientifico perché l'alcol è cancerogeno. E in giro mi è capitato di leggere pure "cancerogeno in qualsiasi quantita", "anche una sola molecola di etanolo è cancerogena" "non esistono quantita´sicure di consumo di alcolici". Tutto questo dopo anni in cui ricordo bene che quanto ad altri composti chimici è sempre stato "è la dose che fa il veleno"(che viene da Paracelso, quindi lo scientismo pop ripescava la spagirica, vabbè).
A parte quindi le ovvie osservazioni (la dose fa il veleno quando fa comodo alla tesi da propagandare) c'è un problema: non sono solo superalcolici, vino, birra, sidro, idromele e pulque a contenere alcol etilico. Quantità minori ma non trascurabili sono presenti in altre classi di alimenti: salumi e formaggi lavorati con tecnologie tradizionali, vegetali fermentati (crauti e olive), pane, prodotti da forno e latti fermentati. Quindi sarebbe il caso di lanciare subito una campagna contro yogurt, kefir, etc etc. Oppure no?
Mi guardo bene dal sostenere che il consumo di alcol non sia dannoso, ma invece di metter su tutto questo teatro in nomine Scientiae, OMS et Scientificae Communionis basterebbe ripetere con gli antichi: Bacco Tabacco e Venere riducono l´uomo in cenere. Oppure un semplice: quando il tuo medico ti dice di smettere di bere, fallo. Considerando anche che “polvere sei e polvere ritornerai, ma tra una polvere e l'altra un buon bicchiere non fa male”. E alla fine di qualcosa si dovrà pur morire, che diavolo.
Magari qualcuno avrà letto gli ultimi post sull'Intelligenza Artificiale e avrà pensato: ChatGPT condiscendente? Lo dice lui...
Non esattamente. Mettiamo che uno schizofrenico dica all'IA che ha smesso con i farmaci per avanzare nel suo percorso spirituale. Se riceve come risposta "Grande! Sono con te!" forse forse qualche problema si pone...
(Fatevi un favore, scegliete la lingua inglese -originale- e i sottotitoli).
Il grosso problema è che a quanto pare gli utenti la adorano, l'IA accondiscendente (vedere il video). Quindi c'è un evidente problema di sbilanciamento tra quello che i Large Language Models sono effettivamente e il significato che viene dato loro da una parte significativa del grande pubblico - che lo usa come un interlocutore privilegiato. Come psicologo, per esempio:
Da un certo punto di vista se le piattaforme social soddisfano un bisogno di interazione umana, per quanto mediata, pare che l'IA generativa per molti risponda a un bisogno di interazione del tutto simile, soddisfatti da sistemi solo apparentemente antropomorfi e in qualche modo collocati alla pari dell'utente (come un amico) al di sopra di lui (come un oracolo, mi ha detto qualcuno che conosco).
Come Sabine Hossenfelder fa notare nel suo video ci sono ragioni di marketing nella compiacenza delle IA generative verso l'utente. E un marketing del genere si costruisce sui significati percepiti dal consumatore o a lui fatti percepire.
Perché stiamo parlando di aziende in cui sono stati investiti miliardi e un ritorno sull'investimento ci DEVE essere in un modo o nell'altro. Forse qualcuno di voi avrà notato che l'uso gratuito di alcuni di questi sistemi sta venendo progressivamente ridotto e questa è una strategia piuttosto comune a Silicon Valley, che apparentemente non riguarda invece Deepseek, al momento, anche se la cosa non è assolutamente esclusa:
Currently, DeepSeek Chat remains free to use, and there are no announced plans to restrict its free access. However, as with many AI services, future changes could include:
- Introduction of premium tiers (additional features for paying users while keeping a free version). - Usage limits (e.g., daily message caps) to manage server costs. - Priority access for subscribers during high-demand periods.
For now, you can enjoy free, unlimited access to DeepSeek Chat! If any changes are planned, they will likely be communicated officially via the website or app.
Come tutto questo finirà per influenzare lo sviluppo di questi sistemi è tutto da vedere. Se l'IA diventa a pagamento, solo chi può permettersela avrà accesso a
risposte di qualità, creando un divario digitale. Inoltre, le aziende
potrebbero privilegiare risposte "commercialmente ottimali" (es.
promuovere prodotti) rispetto a quelle neutre. Se si pensa, come si sta facendo, a sistemi del genere che in campo sanitario possano fare le funzioni del medico di base, il divario digitale tra chi può pagare e chi no sarà perfettamente in linea con gli orientamenti attuali delle politiche sanitarie praticate (che da quelle dichiarate differiscono parecchio).
Sì e se si legge l'articolo si dovrebbe notare, a sinistra sopra il titolo, la scritta "Review". Che non ha niente a che fare con peer reviewed, ma specifica la natura dell'articolo stesso: una review, cioè il riassunto e l'organizzazione dei risultati presentati in lavori prodotti da altri. Nessuna ricerca sperimentale originale, nessun nuovo studio clinico. E aggiungerei che per una cosa del genere di questi tempi basta una IA. Certo, con una IA magari la review non verrà fuori significativa e utile come sono le review ben fatte, ma chi lo legge l'articolo? Di certo non lo legge chi ha prodotto il lancio di agenzia e neppure che lo ha ripreso: ANSA viene ripresa pari pari da Repubblica (Hiv, scoperti i farmaci che ‘intrappolano’ il virus e lo mettono fuori gioco).
Quindi, al contrario di quel che scrivono ANSA e Repubblica, da Palermo non arriva nessun dato, o perlomeno nessun dato nuovo e la notizia vera, cioè l'approvazione di lenacapavir, è una storia di un anno fa in cui il gruppo di Parlermo non è coinvolto a nessun titolo.
Il gruppo in questione non è nuovo alla pubblicazione di review a tema Hiv (sulla stessa rivista ne era stata pubblicata una nel '24). Quello che non si capisce è perché la pubblicazione di una review faccia notizia e perché alla fine si parta dalla review per produrre una notizia oggettivamente falsa. Forse perché è così che funziona il giornalismo italiano, incluso quello scientifico? Boh. E perché il gruppo parlemitano non rettifica, giusto per prendere le distanze dalla notizia falsa che lo riguarda? Chissà...