mercoledì 17 febbraio 2021

HERBERT DINGLE, RELATIVITA' E PRINCIPIO DI AUTORITA'

"C’è però un particolare. Dingle non era matto. Per 35 anni dal 1920 al 1955 (cioè prima quindi di cominciare la sua campagna contro la Relatività) Dingle aveva scritto, tenuto conferenze e dissertato di una teoria di cui non aveva mai capito nulla. Ed era stato lasciato fare, senza che nessuno dei suoi colleghi si accorgesse di nulla."
Storia molto interessante, quella di Herbert Dingle, e non la conoscevo.
La faccenda del principio di autorità non è precisamente ignota a questa pagina ("Nullius addictus in verba iurare magistri"), che di fatto è nata criticando il dilagare di ipse dixit troppo spesso dai piedi di argilla.
Dopodiché una riflessione sulla questione attuale "principio di autorità e dibattito pubblico" è doverosa. Perché?
Perché se si pone il problema dell'uso distorto del principio di autorità poi non si può disperatamente andare a cercare voci autorevoli o supposte tali a sostegno delle proprie tesi (semmai ci si dovrebbe concentrare sugli argomenti).
Ma la soluzione coerente, cioè restare sugli argomenti, è cosa non semplice, quando gli strumenti per affrontare gli argomenti non ci sono.
Ergo va a finire in "virologi da bar" vs "usare l'H-Index come una clava".
Lo so bene che una frazione di pubblico vuole capire le cose come stanno, sì o no, bianco o nero, e molti trovano la situazione confusa. Ma in primo luogo il mondo non è codice binario, in secondo luogo sarebbe bene che tutti si rendessero conto che il dibattito pubblico su questioni sanitarie non è "scientifico" ma politico, come succede da anni, con un parossismo specifico negli ultimi cinque. E quando arriva la pandemia, anche chi denuncia l'infodemia contribuisce a modo suo nell'alimentarla.
Piuttosto che analizzare i temi dibattuti in un'ottica "scientifica" , provate a misurarli con un metro differente. Provate a classificare le opinioni o le informazioni o la divulgazione dal punto di vista dei parametri "spesa sanitaria" o "spesa farmaceutica": vedrete che si dividono tra sostanziali "no" e "si", più o meno articolati o camuffati. Ora tra "spesa no" e "spesa sì" per quanto ci si possa produrre in distinguo, non c'è un punto di sintesi dialettica (e gli esempi eclatanti in anni recenti non mancano https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../diritto-alla...). Nota bene: quando si parla di spesa si parla semplicemente di esborso di cassa, di costi immediati.
La "sostenibilità della spesa" (cioè "spesa no") non è un criterio dibattibile: o si ritiene fondamentale, o si ritiene fondamentale il diritto alla salute.

 

martedì 16 febbraio 2021

GLI ANTIVIRALI FINTI ESISTONO SOLO NELLA MENTE DI CHI...

(... si sgola ad urlare "finti, finti!" e mentre loro urlano arriva il conte Uguccione e...
Sed paulo maiora canamus: mi ero sbagliato, AT-527 non è seconda generazione degli inibitori RdRp di SARS-CoV-2, viene da lontano e stava nella collezione di qualcuno)
La storia degli antivirali inizia sul serio a metà anni ottanta, con le vicende dell'AIDS, e un pugno di nomi compare in continuazione nei successivi trent'anni: Raymond Schinazi, Dennis Liotta, Jean-Pierre Sommadossi... (https://science.sciencemag.org/content/348/6235/622)
Farmacologi e chimici che per trent'anni, tra pubblico e privato, tra accademia e aziende, si parlano, collaborano, fondano startup, smettono di parlarsi (e comunque intascano un bel po' di soldi). Buona parte della storia vede coinvolta la Emory University e riguarda la seconda generazione di inibitori della trascrittasi inversa di HIV: lamivudina, emtricitabina, stavudina (3TC, FTC, 4dT). Tutti analoghi nucleosidici (in questa storia tutto si gioca tra analoghi nucleosidici e nucleotidici).
Nel 1998 Sommadossi e Schinazi cofondano due startup: Pharmasset e Idenix. Schinazi a capo di Pharmasset, Sommadossi a capo di Idenix. Entrambe sono focalizzate sullo sviluppo di antivirali nucleotidici, che all'epoca, come ricorda Sommadossi, erano considerati "poor science".
"Gli analoghi nucleotidici sono tipicamente pessimi farmaci: le molecole hanno molte cariche elettriche e hanno difficoltà ad entrare nelle cellule. Non è così con gli analoghi nucleosidici, che le cellule convertono in nucleotidi. Ma possono causare seri effetti tossici se finiscono nel DNA o nel RNA umano"
E questo è il motivo per cui prima di 3TC, FTC, 4dT gli analoghi nucleosidici li trovavate perlopiù in una classe di chemioterapici, gli antimetaboliti (cfr citarabina, gemcitabina, cladribina).
Come va a finire con la "poor science"? Va a finire che nel 2012 Gilead si compra Pharmasset per 11,4 miliardi di dollari, e nel 2014 Merck si compra Idenix per 3,85 miliardi.
Nel processo vengono fuori le prime vere cure per l'epatite C (Sovaldi e Harvoni), una serie di liti legali e sui brevetti, una polemica insistente sui prezzi dei nuovi farmaci.
Per ovvi motivi Sommadossi sa bene cosa sta succedendo con sofosbuvir, e nel 2012 fonda un'altra startup, Atea Pharmaceuticals, molto focalizzata: dando un'occhiata ai brevetti di Atea, l'idea è di concentrarsi su analoghi di sofosbuvir che al posto dell'uracile hanno adenine 6N sostituite, sempre mirando ad HCV. Ma con l'epatite C le cose non vanno, e poi è già arrivata la seconda generazione di inibitori di proteasi di HCV. Con la sua ventina di dipendenti, grazie ad alcune decine di milioni di finanziamenti privati, Atea vivacchia fino al 2020, quando arriva COVID-19.
Come tutti quelli che hanno qualcosa per le mani in materia di antivirali, ad Atea testano i propri composti contro SARS-CoV-2 e ne esce AT-527(https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../covid...), il cui sviluppo per epatite C si era arenato. Visto che il composto ha già al suo attivo una fase I sull'epatite, appunto, Sommadossi cerca immediatamente risorse per la fase II e le trova (nel privato): a maggio 2020 Bain Capital Life Sciences entra con 215 milioni di dollari. E la fase II parte.
In ottobre Roche paga 350 milioni upfront per i diritti dell'antivirale fuori dagli USA. Il 30 ottobre Atea viene quotata al Nasdaq. Le sue azioni vengono piazzate a 24 dollari, raccogliendo 345 milioni. Dopo un periodo di calma a metà dicembre il titolo inizia a salire fino a raggiungere gli 88 dollari del 3 febbraio 2021.
I risultati di fase II non dovrebbero tardare ad arrivare, ma c'è qualcuno che ha già incassato profitti sull'operazione.
Lo sviluppo farmaceutico è un'attività ad alto rischio: il finanziatore privato quindi si aspetta alti rendimenti, in caso di successo. I fondi privati sono costosi, molto.
Si potrebbe pensare tutto questo senza la leva finanziaria e i suoi costi? Certo che si potrebbe, ma non lo si fa. Neanche quando il pubblico interviene massicciamente (Operation Warp Speed).

 

lunedì 15 febbraio 2021

UN GRANDE CLASSICO: LA LETTERA AL GIORNALE




La lettera al giornale, o la posta dei lettori, se preferite. Magari qualcuno si ricorda gli "articoli su Lancet" che erano in realtà posta dei lettori, perlappunto...
Che questa sarebbe stata una questione politica e politicizzata s'era capito un anno fa, quando il problema era "il razzismo" e la definizione di "coronavirus cinese". Così è continuata. Nel caos massimo di questi giorni si gioca a carte scoperte, tra endorsement vari, e alla fine arriva l'inatteso (ma neanche tanto). La cosa è arrivata fin sul BMJ (https://www.bmj.com/content/372/bmj.n414/rr), e il gioco è lo stesso di sempre: colpirne uno (bamlanivimab ) per affondarne quattro (il combo Lilly - e quindi pure quello Regeneron, perché ormai il discorso è "imonoclonali").
"Da notare che questo Giulio Formoso che ha scritto la "lettera" a BMJ e' uno stretto collaboratore di Magrini (hanno pubblicato 16 lavori insieme su PubMed, piu' 20 articoli su riviste italiane citati sul CV di Formoso stesso)", mi fa presente Guido Silvestri.
Trattandosi di Cochrane Italia l'impressione è "rigorosa valutazione dei fatti". Ma anche no. l'articolo a cui ci si riferisce è il solito https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2775647 . E ricordo che conclude : "Treatment with bamlanivimab and etesevimab combination therapy, but not bamlanivimab monotherapy, resulted in a reduction in SARS-CoV-2 log viral load at day 11 in patients with mild to moderate COVID-19." Nella lettera al BMJ questo viene riassunto con "no or limited impact on viral load" (bicchieri sempre mezzi vuoti).
Viene il sospetto che in realtà sia "Cochrane Italia per Magrini", visto che le carte vengono scoperte in un'altra lettera, su un giornale di diverso profilo, cioè quotidianosanità:
"C'è anche da sperare che non si approfitti di questo polverone, che sembra sollevato ad arte, per far prevalere interessi di parte e apportare ingiustificate modifiche al governo della sanità." (http://www.quotidianosanita.it/lettere-al.../articolo.php...)
Insomma, si parla di anticorpi monoclonali ma in realtà c'è da difendere Magrini, che è così rigoroso.
Tanto rigoroso che avrebbe voluto lopinavir prescritto dai medici di base (quando chiunque con una minima cognizione di causa sapeva che non avrebbe MAI potuto funzionare). Quando è toccato a lui, ammalarsi, l'ha rifiutato (https://www.corriere.it/.../io-capo-dell-agenzia-farmaco...).
C'è da difendere Magrini, che ha detto che remdesivir era di fatto irrilevante tranne poi avere la moglie trattata con remdesivir e desametasone (stesso articolo del corriere).
C'è da difendere Magrini, che ha detto sì all'interferone per poi rimangiarsi tutto.
C'è da difendere Magrini, che ha detto sì al trial con avigan, e a idrossoclorochina, ivermectina e colchicina.
C'è da difendere "la sanità seria", e "la sanità seria" la difende.
Come la difende Giuseppe Ippolito, Spallanzani, (CTS AIFA, CTS) (https://www.agensir.it/.../covid-19-ippolito-spallanzani.../ )
Non sono il silver bullet? Grazia, graziella etc...
Giriamola così: stiamo morendo di sete e c'è un bicchiere. Sembra per certi che o il bicchiere è pieno al 95% o non vale la pena bere. Mentre si continua a lavorare per soluzioni sempre più efficienti, un bicchiere pieno solo per un terzo o un quarto è da scartare? A qualcuno pare faccia proprio schifo.
Ma del resto parliamo di Ippolito, che difende anche il "vaccino italiano", per cui c'è solo "santo cortisone" (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../la-propaganda...), e secondo il quale certa robaccia oltreoceano è stata approvata su ordine di Trump.
Ah, una notizia: Trump non c'è più, quindi per le prossime EUA FDA non sarà più una scusa potabile...

 

sabato 13 febbraio 2021

COVID, ANTIVIRALI: AT-527

 

E siamo a due: AT-527 è un profarmaco di AT-511, nato per il dosaggio per os (compresse o capsule). Quindi come tipologia è il secondo antivirale di questo genere in sviluppo (l'altro è molnupiravir). E' un altro inibitore di RNA polimerasi RNA dipendente (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../coronavirus...).

Un articolo su Antibiotic Agents and Chemoterapy ci offre un quadro preclinico piuttosto completo (per remdesivir lo avevamo visto nella documentazione della CMA di EMA, per molnupiravir gli articoli non contenevano questo livello di informazioni https://aac.asm.org/.../early/2021/02/02/AAC.02479-20.long).
AT-527 ha tutte le carte in regola: attività submicromolare su SARS-CoV-2 in vitro (EC50 0.47 μM), modello animale (rhesus) in cui funziona, e soprattutto arriva dove deve arrivare. Dal modello animale si prevede che un dosaggio di due compresse da 550 mg al giorno produrrà nell'epitelio polmonare concentrazioni del metabolita attivo che eccedono il suo EC90.
AT-527 lo potremmo definire il primo inibitore RdRp di SARS-CoV-2 di seconda generazione, e la sua sperimentazione clinica è iniziata a un anno dalla comparsa del virus: non so se vi rendete conto di quanto questa cosa non abbia precedenti.
E' sviluppato da Atea Pharmaceuticals, che su questo farmaco sperimentale (Investigational New Drug) ha una collaborazione con Roche, ed è in corso una fase II. Attendiamo e incrociamo le dita (queste sono cose serie, non ivermectina o che so io).
E ora una nota più tecnica.
AT-527 un N-nucleotide, come molnupiravir è un N-nucleoside, ma "gioca" su un ribosio modificato (3-metil-3-fluoro, sulla scia del celebre sofosbuvir, la prima cura per l'epatite C) e su una N6-metil-adenina: una struttura più elegante e meno problematica rispetto a quella di molnupiravir con la sua N4-idrossicitidina , che è quello che sta dietro a tutte le polemiche che ci sono state a metà 2020 sulla sua presunta mutagenicità.
In secondo luogo AT527 come remdesivir ricalca il modulo Pro-Tide (https://it.wikipedia.org/wiki/ProTide), sulla scia di sofosbuvir, remdesivir, tenofovir alafenamide.

venerdì 12 febbraio 2021

RASSEGNARSI? MA RASSEGNATEVI VOI (UNA NOTA POLITICA)

(Perché politica? Perché è inutile parlare di NEJM o Lancet quando prima di ogni altra cosa contano gli indirizzi di politica sanitaria - il funerale del "dibattito scientifico" è stato celebrato verso la fine di agosto, in forma privata)
Sono passati più di sei mesi quando qua sopra, per quel che potesse valere, scrissi che nel clima del momento e non solo Pillole di Ottimismo era un'iniziativa che ritenevo opportuna, anzi, benvenuta (e la cosa non fu senza conseguenze).
Perché benvenuta? Perché la "nuova normalità" puzzava, e si sentiva da lontano: puzzava di rassegnazione. E di qualcos'altro: sarà un caso, ma i nuovonormalisti parlavano di crescita esponenziale in agosto (mentre cominciò ad ottobre) e di "recinto chiuso a buoi scappati" con i nuovi lockdown autunnali (e i casi iniziarono a scendere).
Insomma la "nuova normalità" quando sbaglia, sbaglia sempre nella stessa direzione, e chi vorrebbe comunicare la complessità con la complessità pare avere un pessimo rapporto.
Per l'ennesima volta lo ripeto: mai prima, nella storia, c'è stata una risposta così veloce in termini di nuovi strumenti per affrontare una pandemia. Mai, e non temo smentite (se non da gente con la lingua di svariati ordini di grandezza più estesa della propria capacità o onestà intellettuale). Non solo i vaccini mRNA: utili strumenti per trattare gli ospedalizzati sono stati individuati da subito, o quasi. Grazie a una concezione strategica dei rischi pandemici fin da gennaio 2020 NIAID (Fauci) in USA collaborava con Gilead su remdesivir e a ruota BARDA con Emory su molnupiravir. A marzo veniva individuato l'asse IL-6/JAK come più promettente per il trattamento dei casi COVID gravi (separatamente i tentativi con tocilizumab, ruxolitinib e baricitinb convergevano su questo punto, desametasone e i deidrocortisoni sono venuti fuori un po' per caso). In capo a qualche mese sarebbero arrivati i primi anticorpi monoclonali (in primis quelli Regeneron). Impensabile, e non nel 1918, ma neanche con la SARS del 2003.
Quanto a farmaci le soluzioni potenziali per la riduzione del danno c'erano, e in emergenza erano da usare. Oppure no.
Questa è stata la prima e più determinante divergenza di orientamenti sugli indirizzi di politica sanitaria. In USA si è deciso per il sì, in Europa per il "ni", in Italia per il "vediamo,no, forse, domani".
Chi ha pensato che fossero da usare partiva dal razionale farmacologico (ma il razionale farmacologico pare che per molti sia qualcosa di completamente esoterico, invece https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../il-foyes-e-i...), gli altri partivano da... boh. Evidence Based Medicine, dicevano, perché anche in emergenza c'è tempo, tutto quello che serve e anche di più. E lo dicevano per esempio nel CTS AIFA mentre sotto i loro occhi venivano somministrati fiumi di lopinavir (razionale nullo e, guarda caso, effetto nullo. ma ricordo che il DG Magrini lo voleva prescrivibile dai medici di base). E poi sì a idrossiclorochina (con varie giravolte), alla sperimentazione di avigan e alla valutazione di colchicina e ivermectina (al cui confronto avigan ha un razionale solido, per capirsi), sempre sotto gli occhi del CTS di AIFA e con il placet del suo DG, perché la serietà è una cosa seria per davvero.
Con queste premesse era impossibile che la recente inversione di marcia sugli anticorpi monoclonali non finisse in gazzarra mediatica. E specialmente perché la cosa è associata a Guido Silvestri (bersaglio da mesi di una polemica costante per la faccenda di Pillole d'Ottimismo).
Non in nome dell'ottimismo, ma contro la rassegnazione, ritengo la sua iniziativa sugli anticorpi monoclonali importante e meritoria, perché ha ottenuto un un cambio di indirizzo politico, scompaginando un pessimo governo della politica farmaceutica italiana. E non perché sicuramente i mAB funzioneranno (alcuni sì, magari, alcuni no, vedremo), o perché cambieranno il corso dell'epidemia (figuriamoci).
In primo luogo perché di fatto si fanno proprie tre EUA di FDA ed è la prima volta che succede: quando nello scorso giugno, sulla scia di FDA, EMA concesse una CMA a remdesivir, AIFA di fatto fece finta di niente.
L'iniziativa di Silvestri è benvenuta perché rompe il muro di gomma dei fautori del new normal, per cui quanto a innovazioni in materia di farmaci è sempre la stessa storia: quando c'è di mezzo qualcosa di ancora sotto brevetto anche questa volta facciamo un'altra volta. Ma sempre sottolineando il numero di morti per COVID ogni settimana.
 

 
 
 

mercoledì 10 febbraio 2021

DIRITTO ALLA SALUTE? MA ANCHE NO

 



“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti": così l'articolo 32 della nostra costituzione.
Ma quando si parla di farmaci questo diritto viene garantito? Da anni la risposta è semplice: no.
Nel 2017 sofusbuvir e ledipasvir erano stati approvati ormai da 3 anni, cioè da tre anni esisteva la cura per l'epatite C. Non una nuova terapia, proprio la cura, una vera, autentica cura. E la situazione da noi quale era?
"L'epatite C è un'infiammazione del fegato causata dall'hepacivirus (Hcv) che nel lungo periodo porta a cirrosi e carcinoma epatico e in Europa questa patologia è la causa principale di ricorso al trapianto di fegato. Dal 2014 in Italia è disponibile il farmaco antivirale Sofosbuvir, noto come Sovaldi, che con un breve trattamento debella la malattia, ma viene venduto al prezzo di 45 000 euro. Questo farmaco viene prescritto gratuitamente ai pazienti in gravi condizioni, 63 000 in questi 2 anni, mentre gli altri 300 000 italiani malati sono costretti a scegliere se aspettare in lista d'attesa l'accesso alle cure gratuite del sistema sanitario nazionale, oppure se procurarsi il farmaco anti-epatite all'estero, in particolare in India e in Egitto, dove viene venduto per 700 EUR."(https://www.europarl.europa.eu/.../E-8-2017-000296_IT.html)
Fu una situazione del tutto inedita, e frutto di una precisa scelta politica (prima i gravi,e un po' alla volta , anche se sui gravi con il fegato ormai compromesso i benefici erano relativi). Le cifre sembravano folli (45.000 eur a trattamento), ma in realtà AIFA aveva spuntato uno dei prezzi più bassi, "15.000 euro a trattamento, poco più di quanto costava un trattamento con interferone pegilato e ribavirina solo 3-4 anni fa. Con differenze abissali: con Interferone si riusciva a curare a malapena circa il 50% dei pazienti, (quindi uno spreco di denaro enorme), con i nuovi farmaci ne curiamo quasi il 100%" (https://www.quotidianosanita.it/scienza-e.../articolo.php...). Ma le polemiche furono lunghe e accese e il mito della pillola che costava più del platino prese piede, mescolando a casaccio vicende USA (chi non aveva assicurazione sanitaria non aveva accesso) con quelle europee, dove in teoria il problema dell'accesso non sarebbe dovuto esistere.
Si è trattato di uno snodo storico, nella politica farmaceutica italiana, che portò alla creazione obtorto collo del Fondo Farmaci Innovativi. Nulla sarebbe più stato come prima.
Perché si verificò?
Perché l'innovazione costituita dalla cura andava contro una politica di segno preciso (taglio della spesa farmaceutica pubblica) che aveva dato risultati spettacolari (e esiziali per i cittadini): in 11 anni tra 2005 e 2016 la spesa farmaceutica dello stato era stata ridotta del 70% ((https://forward.recentiprogressi.it/.../il-valore-del.../).
(Uno degli effetti collaterali invisibili di questo processo è stato un profondo impatto negativo sulla realtà industriale del paese, ma è una cosa a cui nessuno pensa e che in fin dei conti ha riguardato pochi soggetti, peggio per loro).
Lo ripeto chiaramente: questa è l'UNICA vera chiave di lettura per il tema COVID e farmaci in Italia.

martedì 9 febbraio 2021

COVID E FARMACI: LA SCARSITA' AL LAVORO



Ormai di remdesivir non si parla più (OMS lo ha sconsigliato in autunno, ricordate?).
Ma in realtà si usa.
Visto che di questi tempi va di moda citare IDSA (Infectious Disease Society of America) cosa dice IDSA di remdesivir?
"The guideline panel suggests remdesivir rather than no remdesivir for treatment of severe COVID-19 in hospitalized patients with SpO2 <94% on room air, including patients on supplemental oxygen, on mechanical ventilation and ECMO"(si allargano pure troppo).
In Italia per usarlo si deve fare domanda al registro Veklury AIFA per ogni singolo paziente. I dati "grezzi" (quante domande, quante accettate) del registro sono riservati. Perché? Forse perché farebbero un pessimo effetto.
Qualcuno mesi fa arrivò qua sopra dicendo: lascia che ti spieghi come funziona una terapia intensiva. Bene, oggi lasciate che vi esponga quello che intensivisti e infermieri mi hanno raccontato nel tempo. Le fonti? Mi sono impegnato a non fare nomi.
Sono passati mesi da quando un infermiere di intensiva, ringraziandomi per le informazioni che davo in materia di COVID e farmaci, mi raccontava di una conversazione tra pneumologi in reparto che si concludeva in: Per questo qua chiediamo "il farmaco". Solo per uno di enne, in breve.
E di recente mi hanno girato altre testimonianze: nel caso di x candidabili alla richiesta del farmaco ad AIFA si fa domanda solo per quelli con maggiori probabilità di venirne fuori (per esempio i più giovani o quelli con meno comorbidità).
Ve le ricordate le "decisioni cliniche eticamente impegnative" del nuovo piano pandemico? Pare che di fatto siano già in essere (e non è una novità).
Le premesse della loro necessità non sono state create da chi le deve prendere, cioè i clinici: sono state create da chi ha di fatto scelto per la scarsità di risorse, e chi è sul campo si ritrova a fare i conti con la situazione creata da altri.
Se per remdesivir in settembre c'era una oggettiva scarsa disponibilità di prodotto che riguardava noi come il Regno Unito (https://www.theguardian.com/.../global-shortage-of-key...) poi il network di produzione di Gilead ha cominciato a marciare a pieno regime. Mentre Arcuri acquistava 25.000+ (forse)25.000 dosi, la Germania ne acquistava 150.000 e il programma di acquisto della Comunità Europea, ESI ampliava il suo ordinativo a tre milioni di dosi (https://www.reuters.com/.../us-health-coronavirus-germany...). Quante siano arrivate in Italia non c'è modo di saperlo.
Remdesivir non è "la cura", ma fa parte di un ormai nutrito set di utili strumenti per trattare i pazienti ospedalizzati. Ormai tutti dovrebbero aver orecchiato che quanto a COVID non esiste un trattamento omnibus che va bene per tutti i pazienti in qualsiasi fase della malattia. Per esempio desametasone e inibitori IL-6/JAK sono utili quando si sta per verificare o è iniziata la tempesta citochinica, prima rischiano di essere controproducenti, con la loro azione immunosoppressiva. Al momento remdesivir continua ad essere il miglior strumento disponibile per pazienti ospedalizzati che richiedono un basso flusso di ossigeno. E i benefici del suo uso sono già stati stimati (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/.../remdesivir...), ma ormai avrete capito che tra l'esistenza delle soluzioni più avanzate e il loro uso c'è di mezzo il mare, specialmente da noi.
(chiaramente chi parla di antivirali fasulli o difficoltà di somministrazione non ha nessun problema con questa situazione, anzi, con la sua "comunicazione" di fatto la appoggia, con gran correttezza politica)

 

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...