martedì 22 novembre 2022

UNA NOTA SUL CALO DI FIDUCIA NEI CONFRONTI DELLA MEDICINA

 



Si è soliti dire che il calo di fiducia nella medicina è colpa di internet. Ma secondo voi uno di quei politrasfusi che contrassero AIDS o Epatite a causa della somministrazione di emoderivati infetti dopo la sua esperienza aveva ancora fiducia nella medicina e nell'industria farmaceutica? Non credo. E una delle tante vittime di episodi di malasanità dopo il danno ricevuto avrà maggiore o minore fiducia nella medicina?
L'utente di un servizio sanitario non è interessato al perché e al percome. Vuole usufruire di un servizio che migliori la propria condizione. In media è disposto ad accettare che non ci sia modo di migliorarla, quella condizione. Ma non tollera che la propria salute e la qualità della propria vita peggiorino, dopo aver avuto rapporti con la medicina.
Un sistema sanitario spersonalizzato e globalmente orientato ai processi e ai protocolli, con il paziente spesso in secondo piano, non aiuta.
Parlando di farmaci, quelli in assoluto con la peggior fama sono quelli etichettati come chemioterapia. Notare che ogni piccola molecola in realtà sarebbe chemioterapia, ma che di solito con questo termine ci si riferisce ai farmaci oncologici più vecchi: alchilanti e antimitotitici, in genere. Farmaci con effetti collaterali estremamente spiacevoli e consistenti. Purtroppo non tutti i tumori sono trattabili con farmaci più recenti dal miglior profilo farmacologico. Se così fosse, la chemio non avrebbe questa cattiva fama, e non ci sarebbero folli disposti pure ad affidarsi ad emeriti ciarlatani pur di evitarla. E soprattutto non la avrebbe se fosse sempre e comunque efficace. Ho conosciuto una persona che per due anni ha assistito alla via crucis di un parente stretto con un brutto e poco curabile tumore ai polmoni. Quando gli è stato diagnosticato lo stesso tumore, dopo poco tempo, ha optato per morire in pace, usufruendo della terapia del dolore. Una scelta degna del massimo rispetto e, per quel che mi riguarda, condivisibile.
Per quel che riguarda le vaccinazioni vale esattamente lo stesso ragionamento. Se si smettesse di minimizzarne gli effetti avversi, se si lavorasse per abbatterli ulteriormente con migliori prodotti e migliori protocolli di somministrazione sarebbe assai facile diminuire drasticamente il tasso di sfiducia nei loro confronti. Rispondere a queste istanze dicendo: "La nostra è l'unica vera medicina e la migliore possibile" non risolve niente. In primo luogo perché non è vero che è la migliore possibile, perché esercitata in contesto di massicci e ripetuti tagli di risorse pure fosse la migliore per dottrina non riuscirebbe ad essere la migliore per prassi.
Un paziente che rimane per quanto possibile soggetto, quando usa del sistema sanitario, invece che diventarne oggetto, farmaci migliori e meglio prescritti e somministrati sarebbero la miglior ricetta per ristabilire la fiducia nella sanità. E di conseguenza nella medicina.

Questo scrivevo nel 2017 su fb. Sono passati gli anni, è arrivato COVID, i medici e i sanitari che su isocial esprimevano tutta la loro premura e attenzione per ogni tipo di paziente indipendentemente dalle sue scelte e la fiducia è esplosa (dopo le deflagrazioni è difficile rintracciare frammenti).


PS: Mi ricordo di un pediatra che venne a scanagliare sulla pagina gridando "Vergognati!". Ipediatri su isocial, stesso livello del 99% degli agronomi e derivati (professoridiqualcosaadagraria, nota di merito speciale per chi scriveva prefazioni agli amici che scrivevano libri sui campimorficioquasi, per poi darsi al debinking - di residui insolubili ce n'è di più tipi).

sabato 19 novembre 2022

ENTROPIA IN UK E IMPARARE AD ESSERE INVISIBILI

 

 Quindi macchine cicliche reversibili devone produrre il massimo del lavoro. Un corollario di queste conclusioni è che tutte le macchine cicliche reversibili devono produrre la stessa quantità di lavoro indipendentemente dalla loro costruzione. Inoltre, la cosa più importante, poiché tutte le macchine reversibili  producono la stessa quantià di lavoro da una certa quantità di calore, la quantità di lavoro generata da una macchina termica è indipendente dalle priopretà del materiale della macchina termica; può dipendere solo dalle temperature del serbatoio freddo e da quella del serbatoio caldo.
Questo ci porta alla conclusione più importante del libro di Sadi Carnot:
"La capacità di svolgere lavoro del calore è indipendente dagli agenti utilizzati per produrlo; la sua quantità è fissata unicamente dalla temperatura dei corpi tra cui si effettua il trasferimento di calore"
Carnot non derivò un'espressione matematica per la massima efficienza raggiungibile da una macchina rermica reversibile nei termini delle temperature di fonte calda e fredda. Questo fu fatto in seguito da altri che capirono l'importanza delle sue conclusioni. Carnot trovè comunque un modo di calcolare la quantità massima di calore generabile. (Per esempio concluse che "1000 unità di calore che passano da un corpo mantenuto alla temperatura di 1 grado a un altro corpo mantenuto a 0 gradi producono, agendo sull'aria, 1.395 unità di forza motrice")

Sebbene Sadi Carnot usasse la teoria calorica (https://en.wikipedia.org/wiki/Caloric_theory  , NdCS) per giungere alle sue conclusioni, le sue successive note scientifiche rilevavano che la teoria calorica non era supportata da esperimenti. Di fatto Carnot comprese l'equivalenza meccanica del calore e stimò anche il corrispondente fattore di conversione come circa 3,7 joule per caloria (il dato più accurato è 4,18 joule per caloria). Sfortunatemente il fratello di Sadi Carnot, Hyppolite Carnot, in possesso delle note scientifiche di Sadi dopo la sua morte nel 1832, non le rese note alla comunità scientifica fino al 1878. Fu l'anno in cui Joule pubblicò il suo primo articolo. Nel frattempo l'equivalenza tra lavoro e calore e la legge di conservazione dell'energia erano ben note grazie al lavoro di Joule, Helmoltz, Mayer e altri (il 1978 è anche l'anno in cui Gibbs pubblicò il suo famoso lavoro Sull'Equilibrio delle Sostanze Eterogenee - https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/07/su-uova-e-maionese-avremmo-dovuto.html , NdCS). Il brillante lavoro di Sadi Carnot rimase trascurato finché Emile Clapeyron non incappò nel libro di Carnot nel 1833

(Il resto è storia, e quel calore che non si trasforma in lavoro è entropia https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/04/entropy-in-uk.html)


Forse in quattro anni e spicci qualcuno dei follower più vecchi del blog (nonché della defunta pagina fb) se ne sarà accorto, forse no: alcuni temi assolutamente classici delle scienze sono diventati conflittuali (divisivi, per usare un termine più attuale).
Alcuni esempi?
Mi ricordo delle reazioni isteriche nei confronti delle citazioni dei lavori di Robert May.
Mi ricordo di "le teorie del caos sono il nuovo distintivo dell'antivaccinismo" (a carico di uno che si dice scienza ed è, vivaddio, rimasto fuori https://bari.repubblica.it/cronaca/2022/09/26/news/lopalco_puglia_elezioni-367368047/). E quanto a entropia, di cazzate se sono sentite a migliaia.

Erano temi conflittuali perché non si incastravano nella favola bella.
Quale favola bella? Quella della "narrativa della scienza" che continua nonostante tutto continua ad andare per la maggiore in Italia.
Quanto questa favola avesse velleità monopolistiche, lo si è ben visto negli ultimi due anni, quando in tanti (troppi) hanno provato a gettare il marchio dell'infamia su chiunque mettesse in dubbio una qualsiasi parte del "dogma gestione pandemia". E si è anche visto che con chi lo promuove, questo dogma, non ci sono mediazioni possibili, solo conflitto.
Questa narrativa dogmatica, che è il pane del fan proscienza, aveva e ha tutti i tratti del mito fondativo, un mito che questo blog fin dall'inizio non ha mai voluto sottoscrivere. Ma era una narrativa con cui alcuni elementi del sistema di potere italiano si giustificavano (nel senso: si rendevano giusti).
Non mancava e manca di sfumature, questa narrazione. Ma avrete ormai capito la differenza tra le critiche trascurabili e quelle che vengono percepite come un grave insulto
Ne deriva che imparare ad essere invisibili può essere una tattica più che valida.
Sorridete!

PS. Il corsivo iniziale è la mia traduzione di un testo mai tradotto in italiano. I più attenti lettori del blog non faticheranno a capire di cosa si tratti, gli altri... Nel fantastico mondo de isocial non sono mancati ricercatori e professori che commentavano mie citazioni che non dichiaravano l'autore come scemenze e idiozie, dando così dello scemo e dell'idiota a Schroedinger, Penrose, Prigogine etc...

lunedì 14 novembre 2022

UNA NAZIONE TRISTEMENTE BARZELLETTIFICATA

C'era qualcosa che non tornava già anni e anni fa. Mi ricordo un'associazione di settore che a un certo momento, nei 90, dichiarò che il problema dei corsi di laurea in chimica italiani era che sfornavano laureati troppo qualificati, quando la maggior parte del settore in Italia richiedeva profili molto più bassi (la maggior parte era costituita da quelli che ho sempre chiamato "i mescolatori"). E se esistevano ordini professionali e pure una società scientifica non ebbero niente da dire su questa uscita grottesca. Ma ancora non eravamo alla barzelletta terra terra. (Poi veniva da dire per quale motivo si ponevano il problema dei laureati sovraqualificati quando c'erano a disposizione i periti, forse stavano chiedendo prezzi più bassi per i timbri col sigillo professionale, chissà).

Allora la comunicazione della scienza non andava di moda come oggi.  Invece a metà dello scorso decennio la "scienza comunicata" era esplosa sui social network, e si portava dietro come corollario l'opposizione all' "antiscienza" in rete. Un caravanserraglio di "giornalisti" freelance, wannabe giornalisti (che tali sono rimasti), veterinari, professori con cattedre evanescenti, PhD con le prospettive di lavoro evaporate, gioiellieri, ragioniere, medici operativi nel sistema sanitario (ahimé) e la categoria più ridicola in assoluto, gli agronomi che si piccavano di parlare di scienza. Più una quantità di fanteria appiedata.

E c'erano politici saliti ai vertici delle istituzioni che si ponevano il problema della "verità scientifica" sui media (nonché delle forme al femminile nella lingua italiana).


E quindi si provvide a una commissione contro le fake news presso la Presidenza della Camera (https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2016/12/15/news/boldrini_lancero_un_appello_ai_cittadini_per_per_smascherare_le_bufale_web_-154161688/), non nascondendo la velleità di portare il tutto nelle scuole dell'obbligo (https://www.miur.gov.it/-/fake-news-il-31-ottobre-boldrini-e-fedeli-presentano-il-progetto-nazionale-per-le-scuole-bastabufale). E il livello era proprio quello lì: rasoterra, con un'unica eccezione (Walter Quattrociocchi), ma con una connotazione politica molto chiara. Ammetto che ai tempi mi venne da mettere in mutande qualche sbufalatore professionista - a quando un corso di laurea in debunking? (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2018/06/le-scienze-le-fonti.html). In breve le vicende di 5 anni di social "CS" e ancora più quelle di due anni di pandemia mi hanno fatto pensare che non molto è cambiato dai tempi in cui Lussu descriveva manovre politiche, agitazioni di piazza, figure camaleontiche e macchiette popolari a cominciare da questori, giornalisti, deputati, professori e sindacalisti voltagabbana ai tempi di Marcia su Roma e dintorni. Parafrasandolo potrei dire che la pessima barzelletta che io ho descritto è quella che ho visto sorgere, progredire, affermarsi.  

CS è stato un "brand" che la vera natura dell'italica lotta alle fake news l'ha conosciuta per esperienza diretta: oscuramenti, inserimenti in blacklist (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2019/12/la-lotta-alle-fake-news-e-allhate.html), e questo ben prima che lo stesso trattamento fosse riservato al BMJ (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2022/02/loffensiva-invernale.html). E anche minacce, tentativi di querela a vuoto e quant'altro, ovviamente in nome della "verità" (e della dignità dei suoi cialtroneschi alfieri). La "verità" del mondo alla rovescia dei media italiani e dei social. Proprio un gran bel mondo, in cui ricordo che ci furono tempi in cui lascienza parlò di molecole di cloruro di sodio e il diagramma di stato dell'acqua era diventato eversivo, perché la temperatura dell'acqua "è una costante". E in tutto questo in cinque  anni e qualcosa CS ha sempre raccolto molta meno solidarietà di quanta ne abbia data. .

Fingi che quattro mi bastonin qui,
     E lì ci sien dugento a dire: ohibò!
     Senza scrollarsi o muoversi di lì;

E poi sappimi dir come starò
     Con quattro indiavolati a far di sì,
     Con dugento citrulli a dir di no. 
 

(Giuseppe Giusti)



ALBE E AURORE

Albe e aurore viste da un treno o da una stazione.

Quando arrivavo a una stazione a sud di Livorno, e nel bar della stazione c'era un televisore sintonizzato sul primo canale all news italiano (e non mi ricordo quale fosse) .

C'era, e forse c'è ancora un regionale che andava da Arezzo a Pistoia. A quelle ore treno di pendolari, studenti niente, almeno nel tratto che facevo io. 

C'era una maestra elementare che scendeva a Prato, per poi prendere un treno e poi un bus o due per arrivare in uno sperduto paese appenninico.

C'era un gruppetto di giovani ingegneri che credo lavorassero alla Breda a Pistoia. Una volta li sentii parlare di un vecchio motore a nafta che avevano dove lavoravano. Uno di loro disse "Dopo l'avvio puoi anche alimentarlo a ghiaino fine, tanto va a entropia".

C'era un tavolo di tresette a assetto variabile. Operai della Neutro Roberts, della Nuovo Pignone, della Breda, e di tante altre aziende più piccole e sconosciute. Man mano che il treno procedeva giocatori uscivano, perché dovevano scendere, e altri subentravano, già sul treno o appena saliti. Sapevano chi saliva e chi scendeva a quale fermata. Sentii da loro per la prima volta la leggenda metropolitana di quello che, vestito da Batman, si era tuffato da un armadio.

Era il mondo del lavoro italiano, pubblico e privato, che andava appunto al lavoro. Pendolari settimanali, pendolari giornalieri.

E oggi continuo a vedere spesso l'alba da un treno. Sul treno ci sono alcune ragazze col velo, studentesse forse, a giudicare dal trucco e dai vestiti. Gli ingegneri ancora presenti, ma questi sono perlopiù informatici. Parlano di librerie, di middleware e di applicazioni distribuite. Sono quelli che programmano tra l'altro le decine di software aziendali con cui migliaia di individui hanno a che fare tutti i giorni.

Ci sono studenti. Una studentessa di colore parlava della sua attuale collocazione universitaria, dicendo "L'ambiente non è male, ma io ho idee precise e non voglio rimanere lì". C'è tutta un'altra popolazione con i laptop aperti: project manager, account manager e tutto il resto. Ma quando arrivo vicino alla  destinazione appaiono altri ingegneri, gente che lavora alla produzione di materiali speciali, gente che lavora in metallurgia, ingegneri chimici. Il mondo del lavoro odierno, qua, lontano dall'Italia. Non ci sono tavoli di tresette ad assetto variabile, ma il contesto mi è molto familiare. Da sempre. 

Le marieantoniette senz'arte né parte di turno questo non lo capiranno mai. Il loro disgusto per il lavoro è profondo e inattaccabile, e specialmente per il lavoro che produce. Nelle loro teste la produzione di beni è roba da poveracci asiatici, loro sono nel quaternario, che è sopra il terziario. Sporcarsi le mani o dover usare occhiali di protezione e guanti? Che schifo.



sabato 12 novembre 2022

TAKE THIS "DUTY" AND SHOVE IT

https://www.youtube.com/watch?v=2X_2IdybTV0

Sempre più sento parlare di "dovere nei confronti del sistema sanitario"'.
Vorrei chiarire che, nell'attuale ordinamento italiano, NESSUN cittadino ha NESSUN DOVERE nei confronti del sistema sanitario, dei medici, degli infermieri o degli OSS.
NESSUNO e NESSUNO.
Abbastanza chiaro?

Sono enti e categorie citate che invece i doveri li hanno, mentre diritti sui pazienti no, non ne hanno. Bel gioco di prestigio, il provare a trasformare diritti in doveri, roba da maghi della truffa.
E se un sistema sanitario pubblico pretende qualcosa da me, scusate tanto, preferisco una sanità privata che pago per avere quello che voglio.

(Carry on, you wayward sons)

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Era il gennaio 2022 e mi ero lasciato alle spalle l'Italia con immensa soddisfazione già da un po'. Dopo svariati mesi è facile constatare che le cose non sono cambiate affatto, nella penisola. Ma dove vivo ora roba del genere non l'ho mai sentita dire - e posso sostenere che ormai l'intervallo di tempo della mia rilevazione è statisticamente significativo. Dove vivo attualmente le mezze figure e i personaggini d'avanspettacolo che ritpetono questi concetti non avrebbero mezzo minuto della pubblica attenzione (per intenderci il fatto che nello stivale personaggini d'avanspettacolo e mezze figure abbiano titoli, comparsate televisive e incarichi pubblici o istituzionali è una delle premesse del discorso). Poi per me, in quanto iscritto AIRI, il sistema sanitario italiano non è gratis. Ok, diciamo che non è gratis neanche per i residenti in Italia, ma per me è più oneroso. Perché le tasse le pago in un altro paese. Ma da una decina d'anni ci si è adoperati perché il vecchio adagio "paghi le tasse lì, quindi non le paghi dove sei nato" passasse in secondo piano. Quindi continuo mio malgrado a finanziare lo stato italiano e il suo sistema sanitario e a questo punto mi auguro che ogni singolo euro che finisce dalle mie tasche nelle casse erariali tricolori vada sprecato nel peggiore dei modi.


giovedì 10 novembre 2022

UNIVERSITA', IERI E OGGI

Il meraviglioso mondo dei social vi ha abituato a gente con il PhD nella bio. Che quindi ha un valore in sé, come ai tempi in Italia una qualsiasi laurea conferiva il titolo di "dottore": dottore in legge, dottore in lingua e letteratura francese, dottore in scienze politiche etc. 

Era l'eredità di tempi in cui i laureati costituivano una popolazione relativamente esigua della popolazione italiana, e quindi costituiva un titolo distintivo. 

Sempre ai tempi, per fare un esempio che conosco bene, il dottorato (che durava due anni ed era pagato quasi 0) lo faceva solo chi era intenzionato a rimanere all'università: ricercatore prima, professore poi (e non era una transizione ardua come lo è ora). E non era particolarmente significativo dal punto di vista della formazione del chimico, che si era fatto negli anni diversi mesi di laboratori vari e di solito più di un anno di tesi sperimentale.

Oggi le cose sono assai diverse e per molti versi il sistema italiano si è allineato a quello anglosassone e nord europeo. Oggi l'unica sicurezza che un laureato in chimica (o CTF) abbia il minimo sindacale di background sperimentale è costituito dal PhD. E questo perché tra tre più due e tagli di spesa durante i cinque anni i laboratori sono passati da diversi mesi a qualche settimana. Motivo per cui quando mi chiedono di valutare curriculum di solito sorvolo sulle lauree magistrali moderne italiane (anche perché subissate in numero da PhD e postdoc, anche italiani).

Ma in questa anglosassonizzazione dell'universtà italiana c'è un pezzo che manca, o meglio che è sparito.

Ok, ai tempi in Italia non funzionava come negli USA, con una divisione netta tra università di fascia alta e di fascia bassa. Ma si sapeva bene che c'era università e università, parlando di chimica anche per quello che riguardava non solo la qualità della formazione ma anche la difficoltà del percorso per arrivare alla laurea. Mi ricordo gente che "andava a sbiennare" in università meno esigenti, per poi tornare dopo essersi tolta il peso.

Ecco, oggi tutto questo che, ripeto, nei sistemi anglosassoni è un fatto scontato, in Italia sembra scomparso. Anche perché in una selva di graduatorie e valutazioni ogni università o dipartimento si può trovare quella in cui è messa bene e magari riescono a trovare una classifica in cui escono primi o secondi, anche se assieme a centinaia di altri. Ma vuoi mettere la soddisfazione di dire "Sono arrivato uno!".

Ma, se si guarda alle università italiane nell'Academic Ranking Of World Universities i più vecchi troveranno la lista mollto familiare:

Il quadro è più o meno sempre stato quello o lo è stato negli ultimi cinquanta anni o giù di lì. E questo indipendentemente da quanto chi è fuori dalla lista provi ad affermare diversamente.

mercoledì 9 novembre 2022

VOCABOLI DIMENTICATI: BIGOTTO

 E qua si aprirebbe una questione linguistica. Sì, perché in italiano:

Mentre in inglese/americano

Al che vi renderete conto che "bigotto" nel senso italiano è completamente desueto. Ma in ambiente italiano "bigotto" in senso anglosassone sarebbe uno dei vocaboli più pertinenti a questi tempi.

E occorre dire che l'emergenza pandemica ha scoperchiato le chiaviche: uno sfoggio di bigottismo come quello di buona parte della classe medica italiana sui social non si era mai visto. https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/12/questo-non-e-hate-speech.html , qualcuno si ricorda di queste parole? C'è chi dice: "E' stato il burn out". Non credo: situazioni estreme mettono a nudo le basi dell'individuo, e la pandemia ha avuto il pregio di mostrare di che razza fosse il "nocciolo duro" di molti medici e sanitari italiani, cioè di una razzaccia infame.

Ovvio che questo genere di bigotry si trovasse PR women & men in tinta: magari apparentemente diversi, ma in realtà bigotti della razza peggiore.


CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...