Negli anni Novanta, quando il Progetto Genoma Umano prometteva di decifrare il "libro della vita", ho perso il conto dei biologi che credevano che bastasse leggere la sequenza del DNA per comprendere i meccanismi fondamentali della vita e delle patologie. All'inizio di questo millennio mi capitò di parlare con alcuni giovani biologi che mi dissero "Small Molecus? Condoglianze, ora silenzieremo i geni responsabili della malattia e il problema sarà risolto". Craig Venter, pioniere del sequenziamento genomico e figura controversa nel panorama scientifico internazionale, ha sempre incarnato questa visione stolidamente ottimistica della biologia molecolare. E quando si è iniziato a parlare di biologia sintetica figuratevi se non era in prima linea. Piccolo particolare: dopo aver annunciato di aver cominciato a lavorare sulla vita artificiale basata sul più piccolo genoma funzionante, dovette fare i conti con la realtà sperimentale di cui sopra: il più piccolo genoma funzionante (in teoria) non funzionava affatto. Per farlo funzionare servivano più geni, tipo il 30% in più, e nessuno sapeva perché. Ovviamente quallo che era a tutti gli effetti un passo falso fu venduto al pubblico come una grande vittoria. Il J. Craig Venter Institute annunciò nel 2016 la creazione di JCVI-syn3.0, un batterio sintetico con soli 473 geni: la forma di vita autonoma con il genoma più piccolo mai realizzata dall'uomo. Ed il più piccolo effetimante lo era. Per dare un'idea il comune batterio Escherichia coli, presente nel nostro intestino, possiede circa 4.000 geni. L'essere umano ne ha circa 20.000. Se l'obiettivo era ambizioso, cioè identificare i geni minimi indispensabili per la vita, syn 3.0 era la storia del fallimento di un paradigma. Circa il 30% dei geni di Syn3.0 – parliamo di circa 150 sequenze – non aveva una funzione nota ma si era dimostrato essenziale per la sopravvivenza del batterio. La cosa venne riflessa nelle dichiarazioni di Venter: "È umiliante, Abbiamo creato l'organismo più semplice possibile, eppure non capiamo ancora come funziona un terzo del suo genoma."
Le conclusioni riguardo alla sbornia genomica che persisteva sin dagli anni '90 furono immediate e poco consolatorie: se non riuscivamo a decifrare completamente il genoma di un batterio artificiale, progettato per essere il più semplice possibile, come si può sperare di dominare sistemi complessi come il corpo umano?
Ricordatevi che negli anni Novanta, molti ricercatori credevano nell'esistenza di geni specifici per malattie specifiche: il "gene dell'Alzheimer", il "gene del cancro", il "gene dell'obesità". Poi abbiamo avuto qualcosa come 20 anni di fallimenti clinici dell'ipotesi amiloide, ma la lezione non è stata imparata. Poi è arrivato Syn3.0 e ancora una volta si è fatto finta di niente, business as usual. Esattamente come se la comunicazione delle life sciences fosse rimasta al 1995.
Per giornalisti e divulgatori scientifici, il caso Syn3.0 avrebbe dovuto costituire un immenso caveat: diffidare dei titoli che annunciano la "scoperta del gene di..." o la "soluzione definitiva a...". E invece abbiamo visto (di nuovo) annunciare la nascita di un vaccino antiAlzheimer basato su... l'ipotesi amiloide.
Ah, e se vi chiedete cosa è successo riguardo a Syn3.0 negli ultimi dieci anni: si è arivati alla versione 3A, ma ancora non si capisce quale sia la funzione di quel 30% di geni "in più" indispensabili a farlo funzionare.
Ora provate a far quadrare questo con la narrazione delle magnifiche sorti e progressive della scienza che trovate in giro, se ci riuscite. Ma tranquilli, la scienza/segno, la scienza comunicata, è immune a qualsiasi reality check.
PS: Posso immaginare che un'obiezione standard a quanto ho scritto possa essere "Ma non siamo rimasti fermi, oggi abbiamo CRISPR!". Piccolo particolare: CRISPR è uno strumento: taglia e ricuce DNA. Non ti dice niente sulla funzione di quel che tagli e cuci, e nonostante il suo sviluppo la funzione di quel 30% di geni necessari alla vita minima continua ad essere ignota. Le applicazioni cliniche di CRISPR sono in salita, perché sono una riedizione di gene X= patologia Y e, se si considerano gli ultimi quaranta anni l'approccio funziona, sì, ma solo in casi particolari.
Fonti:
https://www.jcvi.org/media-center/first-minimal-synthetic-bacterial-cell-designed-and-constructed-scientists-venter
https://www.nature.com/articles/s41586-023-06288-x
https://www.science.org/content/blog-post/smallest-viable-genome-very-weird
https://www.nature.com/articles/s41392-023-01309-7