mercoledì 12 marzo 2025

L'ALBA DI UN GIORNO NUOVO E IL PENSIERO LINEARE

 

Mi ricordo una due diligence in cui assistetti al colloquio tra chi la conduceva (un analista finanziario) e i vertici dell'azienda per cui lavoravo. L'analisi presentata riteneva improprie, cioè eccessive, le spese per ricerca e sviluppo: "Avete tre prodotti le cui vendite sono in crescita lineare da 4 anni, dovreste investire nell'espansione del mercato e della capacità produttiva per questi tre prodotti invece che spendere in ricerca". Dell'acquisizione/fusione non si fece nulla perché pochi mesi dopo, col nuovo anno, le vendite di due su tre di quei prodotti crollarono mentre quelle del terzo iniziarono a stagnare. E al tempo sono sicuro che la busta paga di quell'analista finanziario fosse almeno il 150% della mia, probabilmente di più.

In generale sia individuo che società cercano e desiderano la stabilità: un impiego pubblico con un contratto a tempo indeterminato, per esempio, che rappresenta un'isola di stabilità in un mondo che è  tutto meno che stabile. Stabilità e linearità diventano le lenti con cui guardare il mondo, lenti linearizzanti che linearizzano anche quel che lineare non è.

In fin dei conti un andamento lineare rappresenta una certezza: quella cosa continuerà a crescere (o a decrescere o a rimanere costante), all'infinito. Ed è bene ricordare che un'esponenziale, in scala logaritmica, è una retta e al riguardo negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutte le specie.

No, non viviamo in un "Assurdo universo" come quello di Fredrick Brown (What a mad universe, 1949) o come quello di Sclavi e Micheluzzi (Roy Mann)

Il  problema è che ben poco di quello che ci circonda e percepiamo è assolutamente lineare o esponenziale. Spiacente. Il che non significa che sia prevalentemente casuale.  Questa è una cosa che non verrà mai capita, mai. Perché molto spesso due più due non fa quattro e tanti che si piccano di parlare di scienza per (mancanza di) formazione e cultura non hanno la minima possibilità di comprenderlo, anche se magari dicono pubblicamente il contrario. 

Mi è impossibile non tracciare un parallelismo al di fuori dei temi "scientifici" con il discorso mediatico italiano (e in genere occidentale) degli ultimi quattro anni: la pandemia sarebbe stata per sempre, la guerra in Ucraina sarebbe continuata fino alla vittoria. Narrazioni che fissavano il presente in una nuova costante, in un nuovo stato definitivo, eterno - a loro modo pensiero lineare anche queste. E che dire del credito che fu dato a Francis Fukuyama quando, nel 1989, ipotizzò la fine della storia (The End of History?, The National Interest, 1989)?. L'idea (piuttosto assurda) che la storia si fosse conclusa, aprendo un periodo di infinita stabilità (e di supremazia globale USA) è stato un leit motiv degli anni 90. Ma anche se l'idea era piuttosto assurda di fatto è stata istituzionalizzata. Quando studiai storia alle elementari, negli anni '70, il programma si fermava agli eventi del primissimo dopoguerra (Piano Marshall), che erano eventi di circa 30 anni prima. Oggi mi dicono che si fa fatica ad arrivarci, alla seconda guerra mondiale. Quindi quelli che si ricordano qualcosa di quel che hanno fatto a scuola ne escono oggi con gli ultimi 80 anni che mancano all'appello, quasi un secolo. In molte teste la storia è davvero finita, per quanto gli eventi che occupano i media dicano esattamente il contrario proprio da 80 anni.

Nello stesso 1989 in cui si iniziò a decretare la fine della storia invece Lord Robert May concludeva un suo articolo su The New Scientist a titolo "The chaotic rythms of life" (n° 1691, 18 nov 1989)  scrivendo:

Il messaggio che mi parve urgente più di dieci anni fa è ancor più vero oggi: non solo nella ricerca biologica ma anche nel quotidiano di politica ed economia le cose sarebbero molto migliori se si comprendesse che semplici sistemi nonlineari non possiedono necessariamente proprietà dinamiche semplici

Ed il messaggio continua ad essere urgente oggi esattamente come lo era 35 anni fa.

domenica 9 marzo 2025

GIU' AL NORDEUROPA

Giù al Nordeuropa centinaia e centinaia di tonnellate di acrilonitrile viaggiano su rotaia.


Lunghi convogli di vagoni cisterna, mossi da locomotori di chissà quali compagnie, apparentemente uno diverso dall'altro. Vengono da un vasto polo di chimica di base, compreso tra due fermate dei treni locali. Passandoci in mezzo, in auto o in treno, non si sentono odori, neanche di estate. Il polo comprende una centrale termoelettrica con due torri di raffreddamento e due  gruppi generatori da 330 megawatt. Quando il mio treno salta e mi tocca prendere un bus incrocio gruppetti di giovani ingegneri chimici che parlano di rettifiche e reattori a letto fisso.

Giù al Nordeuropa tra i colleghi le reazioni a Rearm Europe non sono state entusiastiche, per usare un blando eufemismo. L'impressione è che sia un orientamento piuttosto diffuso e che i governi, su come giù, lo sappiano bene regolandosi di conseguenza.

Giù al Nordeuropa al livello del mare in una bella giornata dei primi di marzo alla mattina fa meno due o meno 4 e poi la massima non arriva sopra ai dieci gradi. Dai finestrini del treno andando al lavoro vedi i campi fuori città candidi di brina. E i dieci giorni di neve e ghiaccio e meno nove di minima a gennaio non te li leva nessuno, nella stagione in cui le ore di luce sono a malapena sette. Quando esci dal lavoro è già buio e le temperature scendono velocemente verso la minima. Una minima che è anche più bassa fuori città, a lato delle strade statali che costeggiano le zone industriali, o lungo i vialoni suburbani a quattro corsie su cui si affacciano palazzi di uffici, capannoni della logistica e industriali, centri di ricerca. In quei giorni, quando il vento taglia come una lama di ghiaccio, meglio non mettersi fermi ad aspettare l'autobus, meglio camminare verso la prima fermata un poco più riparata.

Poi le temperature salgono e quando salgono di solito piove, piove, piove: drizzle impalpabile o folate di gocce, pioggia forte o leggera, cielo coperto di nuvole scure e acqua che viene giù, spesso arrivando di traverso per il vento. Giù al Nordeuropa comprarsi una cerata è una buona idea.

Giù al Nordeuropa quando c'è il grande mercato fai fatica a riconoscere le specie sui banchi del pesce. Ok, salmoni, tanti. Poi qualche carpa, sogliole, rombi, sgombri, merluzzi e eglefini. Ma anche varietà di sgombri e pesci cappone mai viste prima e altre specie altrettanto ignote, del Mare del Nord e del Nord Atlantico. Il pesce affumicato comprende aringa, sgombro, salmone, anguilla, trota, halibut, haddock e spigola. E le ostriche sono disponibili e fresche, quindi avere in casa un coltello da ostriche è una buona cosa. Quelle nella foto venivano 30 euro la dozzina, che non è malaccio come prezzo.

Giù al Nordeuropa i vini italiani li trovi, ma nella gamma medio alta i francesi la fanno da padrone: Pays d'Oc, Corbières, Côtes du Rhône, Chablis. Pouilly Fumé, Pouilly Fuissé, Borgogna, Bordeaux e Muscadet.

Giù al Nordeuropa ci sono ristoranti italiani e pizzerie italiane, ma non ci ho mai messo piede. Eccetto quelli italiani ogni bistrot, caffé, pub o ristorante del centro offre ostriche e Chablis, non si scappa. Magari le ostriche di quelli meno frequentati non sono così fresche quindi  meglio evitare.

Giù al Nordeuropa si trova pasta Rummo e De Cecco, caffè Lavazza e Segafredo, olio Carapelli e Coricelli. Chiamano riso da risotto quello che ad occhio è un riso Originario, Si trova pomodoro in scatola e concentrato Mutti - e la differenza con il prodotto di marchio autoctono si nota. Ma ci sono tanti posti nel Nordeuropa che non sono affatto così,

 

mercoledì 5 marzo 2025

A CHI CONVIENE LA "SCIENZA" SCHIERATA IN POLITICA?

Ormai è del tutto evidente: non alle discipline scientifiche. Certa politica pensava che gli convenisse, certa "scienza militante" pure. I semplici fatti hanno dimostrato ampiamente che no, non era così.

https://www.nature.com/articles/d41586-025-00661-8

Vediamo un po'... se da anni dici che X è un personaggio indegno e un nemico poi ti stupisci se X tratta te come un nemico e quando può agisce contro di te?

Voglio ricordare che l'area dem fu la prima a bollare Trump come anti-scienza prima dell'elezione al suo primo mandato. Avete bisogno di un rinfresco di memoria? 

Nel 2016:

Dalla negazione della scienza alla xenofobia fino alla misoginia, Trump tira fuori il peggio dagli americani e vuole annullare 50 anni di progresso.

Ma non solo, alcune voci della "comunita´ scientifica" seguirono la scia dei dem, schierandosi.

Sempre nel 2016 ci si mise anche Scientific American:

Le opinioni di Trump sulla scienza sono sorprendentemente ignoranti. Le sue dichiarazioni mostrano un disprezzo per la scienza che è allarmante in un candidato a una carica importante.

Nature si schierò con Hilary Clinton, Lancet non fu da meno:

"Trump è davvero COSÌ pessimo?" Concluse che, in effetti, la realtà era "fosca". Il presidente Trump, sostenne Stuckler, sarebbe stato una "minaccia diretta per la salute pubblica".

Sono esempi di una "scienza" che si riteneva al di sopra della politica. Otto anni dopo, reality check: non era mai stata al di sopra, era stata sempre al di sotto, semplicemente messa sugli altari da una parte politica per il suo tornaconto. L'amministrazione Biden "guidata dalla scienza" fu uno spettacolo grottesco, con chi era stata corresponsabile dell'inizio della crisi degli oppiacei, la Woodcock, rimessa a capo di FDA come Acting Commisioner e una raffica di dimissioni dall'agenzia.

Erano quelle di Scientific American, Nature e Lancet dichiarazioni politiche, nel senso deteriore? Al 120%. Erano politicamente intelligenti? Se lo scopo era usare la scienza schierata al servizio di una parte politica sì. Considerati i risultati, l'uso della "scienza" in una tornata elettorale forse era da archiviare (citofonare Renzi). Ma chiedere lungimiranza politica a Biden e Harris forse era chiedere troppo e non c'è niente di peggio che rimanere relegati nel ruolo del sore loser, che è il loro ruolo attuale (Sanders dice sante ovvietà ma non è un caso che il suo partito lo abbia emarginato).

Date le premesse questa narrativa si è ostinatamente rifiutata di ricordare che, nonostante tutto, fu proprio la prima amministrazione Trump con Operation Warp Speed a finanziare lo sviluppo di vaccini e farmaci anticovid che poi sono stati usati in tutto l´occidente. E forse ha preferito scordarselo lo stesso team di Trump durante la campagna elettorale, in cui università e scienza sono state dipinte come "il nemico".

Oggi siamo arrivati al punto in cui la ricerca scientifica è scesa in piazza, negli USA, per protestare contro il taglio dei finanziamenti (impossibile dargli torto). Ma, poco da fare, ormai non solo qualche rivista, ma la scienza pubblica e accademica per intero si è definitivamente schierata nella contesa politica e questo fatto avrà conseguenze gravi. Perché non si farà più alcuna distinzione tra  "la scienza", quella indistinguibile dalla politica, e la pratica delle discipline scientifiche. La ricercatrice che va alla manifestazione con il cartello "Preferirei essere in laboratorio", mai stata vicina alla politica, da oggi verrà omologata a chi ha usato "la scienza" sperando in tornaconti grandi (vittorie elettorali, posizioni di rilievo) o piccoli (posticini sulle pagine di un giornale o briciole di visibilità mediatica).

Marcia McNutt lo scorso autunno ricordava che :

Dalla fondazione della National Academy of Sciences (NAS) durante la Guerra Civile. il periodo più divisivo della storia americana, la scienza e NAS (di cui sono attualmente presdidente) hanno servito la nazione indipendentemente dal partito politico al potere, Continuando la comunità scientifica a farlo, occore puntare una sguardo critico su quale responsabilità la scienza si prenda partecipando al contenzioso politico, e su come gli scienziati possano ricostruire la fiducia del pubblico verso di loro...

Le ultime presidenziali USA sarebbero state una buona occasione per provare a frenare l'escalation, per una presa di posizione che ricalcasse le parole della Mutt: la ricerca scientifica sarà neutrale indipendentemente da chi governi. E' stato fatto l´esatto contrario e ho presente una popolazione piuttosto numerosa che sarà perfettamente a proprio agio con le conseguenze: una rinnovata e più energica polarizzazione, una nuova guerra "per la scienza" da combattere. Che non servirà a niente né a chi ha perso il lavoro, né a chi ha perso i fondi, specie se condotta sui media italiani. Ah e riguardo la fiducia pubblica verso le discipline scientifiche? Ma chi se ne frega...

E poi... in certi articoli c'è quel profumo caratteristico, quello delle rese dei conti interne dentro le grandi organizzazioni: chi diavolo è costui, ora Acting Director, che è stato sempre nell'ultima fila? Nell'ultima fila forse perché tu e tuoi cronies hanno fatto di tutto per farlo restare lì? Come diceva uno a pensar male... Potrebbe essere davvero l'ultima ruota del carro, ma se scrivi che i colleghi hanno cercato come si pronunciava il suo cognome (italiano), bimbo... hai perso un'ottima occasione per apparire inclusivo. Per essere chiari questo non ha nulla a che fare con la ricerca scientifica: sono giochi di potere e le reazioni di chi il potere lo perde.

https://www.washingtonpost.com/science/2025/03/05/nih-trump-turmoil-grants/

 

PS: Voglio ricordare che a un certo punto qualcuno ha capito che forse si era spinto un po' troppo in là e considerata la sua posizione stava facendo più danni che altro alla causa che voleva appoggiare. Perché certo, nessuno ti vieta di avere opinioni personali anche forti, ma se sei in una certa posizione e le esprimi pare che tu le stia esprimendo in quanto editor in chief di una famosa rivista (un tempo) scientifica. E dare degli idioti ignoranti a chi vota chi non ti piace non è il miglior modo per ristabilire  fiducia.

ADDENDUM: Mi sono visto un'ora e mezzo di Stand Up For Science a Washington su Reuters... una carrellata di luoghi comuni e congressmen dem, con qualche centinaio di persone, e non le migliaia che qualcuno diceva (a Parigi migliaia, ma quel che succede a Parigi al riguardo non conta un beep). Se il messaggio voleva essere "La scienza è una cosa dem" è passato alla perfezione, alla faccia di quelli che la pensano come Marcia McNutt. E non sarà senza conseguenze.

lunedì 3 marzo 2025

DUE ANNI PIUTTOSTO INFAMI

https://www.fiercebiotech.com/biotech/big-pharma-layoff-rounds-jump-281-24-while-total-biopharma-staff-cuts-similar-23

Faccio presente che 15 anni fa i numeri furono circa il quadruplo, ma anche a questo giro non si è scherzato. Qua si parla di circa 50.000 posizioni evaporate in due anni e da certe angolazioni se ne rilevano chiaramente le conseguenze: per una posizione da senior chemist possono arrivare tipo 150 curricula, tra cui ci saranno pure profili director level. Come 15 anni fa.

Quindi scusate se mi limito a solidalizzare caldamente con quanti a causa dei tagli di Trump sono saltati e salteranno nella ricerca pubblica USA (e non solo nella ricerca) , ma non intendo stracciarmi le vesti per l' "attacco contro la scienza": la maggior parte di quei circa 50.000 che hanno perso il lavoro negli ultimi due anni sulla busta paga alla voce "posizione" aveva scritto "scientist" e i media, Nature compreso, non se ne sono curati. 

I numeri sono scoraggianti. Dopotutto, i licenziamenti nel settore biofarmaceutico continuano a verificarsi a un ritmo tale da giustificare un monitoraggio. Ma cosa indicano i tassi di riduzione della forza lavoro e il possibile plateau sullo stato del mercato?

I tagli sono probabilmente un indicatore ritardato della salute del mercato, ha detto il CEO di Roivant, Matt Gline, a Fierce Biotech... La volatilità è diventata la norma del settore.

"indicatore ritardato" significa che i tagli di oggi raccontano un cattivo stato di salute di ieri l'altro. "Volatilità" è un concetto finanziario. Un'industria volatile non può davvero stare in piedi, a meno che non si parli di industria di basso contenuto tecnologico con diritti dei lavoratori stile XIX secolo. Un'industria volatile delle life sciences avrebbe bisogno di un vasto bacino di lavoratori con un basso tasso di occupazione, al che formerebbe in continuo mente d'opera che resterebbe in azienda due anni se va bene: spreco di risorse e accumulazione di know how pressoché nulla. Perché il know how non può essere assorbito in un sistema corporate, il know how cammina sulle gambe di chi nell'azienda ci lavora. Non che la cosa non si sappia, è quel che sta dietro l'accento sulla acquisizione di talenti, che chiaramente tende a sparire in tempi di vacche magre. L'ho già visto succedere e come 25 anni fa tagli e licenziamenti non sono una soluzione al patent cliff. Del resto chi, compos mentis, può pensare che un'industria che vive di ricerca e sviluppo possa superare una crisi da mancanza di nuovi prodotti con meno ricerca e sviluppo?

Poi a questo giro l'amministrazione Trump sta massacrando i finanziamenti alla ricerca di base, che è quella pubblica e accademica, Questo significa che la già risicata intersezione tra l'insieme dei lavori rilevanti e quello dei lavori riproducibili, cioè quello che serve come punto di partenza allo sviluppo farmaceutico, sarà largamente ridotta. Pare che per qualunque parte politica di qualunque orientamento da anni e anni sia impossibile distinguere tra il bambino e l'acqua sporca.

Se penso alla colossale quantità di denaro incassata nel biennio 2020-2022 da certe aziende - ed era anche denaro pubblico, Pfizer, per fare un nome - sono portato a ribadire che questa industria sia davvero un giocattolo della finanza: quando si incassa si distribuiscono dividendi, quando il mercato va giù pagano i lavoratori perdendo il posto e spesso i dividendi vengono distribuiti lo stesso. Oggi chi è nuovo a questo circo si straccia le vesti, come se loro fossero la luce del mondo ingiustamente attaccata:

 

https://www.nature.com/articles/d41586-025-00660-9

Certo, loro sono la luce del mondo, intoccabile, e i 50.000 di cui sopra erano roba che poteva essere giustamente scaricata nel cesso. Luce del mondo o no continuano comunque d avere la mia solidarietà, perché quando si tratta di licenziamenti si deve stare da unica parte, quella di chi perde il lavoro. Ma ormai è una parte quasi deserta (verrebbe da dire "dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio").

 

 

giovedì 27 febbraio 2025

ANCORA RIGUARDO AI SOCIAL NETWORK

 

Ringraziando pubblicamente Sara Gandini per la condivisione e l'apprezzamento credo sia tornato il tempo di parlare di nuovo di social networks. "Anti social", per quanto un'etichetta abbia infiniti limiti, ci sta. Ma vorrei citare, di nuovo, un passo di Matthieu Amiech da L'industria del complottismo:

Va notato che se anche un'autorità pubblica che si preoccupa "dell'interesse generale" prendesse il controllo dei fornitori di servizi su internet, se i protagonisti non fossero quindi dei magnati privati assetati di profitto, la mia diagnosi rimarrebbe la stessa: l'informatizzazione delle nostre vite è un processo di confisca del mondo comune, organizzato dalla tecnocrazia, una classe di esperti dedita al perseguimento dello sviluppo industriale. Per queste persone, che lavorano a volte per lo Stato, a volte per il capitale privato, l'aumento della dipendenza degli individui dalla macchina social non  un problema, perché sono loro i principali gestori di questa macchina e il loro potere sulla vita degli altri aumenta man mano che la macchina cresce e diventa più sofisticata.

Per l'orizzonte delle mie letture da un certo punto di vista è la chiusura di un cerchio iniziato molti anni fa con L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio di Pierre Lévy, che sottolineava la condivisione dell'intelligenza come una delle possibilità intrinsiche della rete. Un tratto che è rimasto anche nelle sue successive evoluzioni con quello che veniva chiamato ai tempi il web 2.0: social network e piattaforme analoghe.Tre anni fa dal mio punto di vista la componente "intelligenza collettiva" era stata sommersa da fanatismi contrapposti che non temevano alcuna contraddizione, neanche la più eclatante. Il "dibattito" pubblico era schiacciato e neutralizzato, almeno da un anno (dalla fine del 2020) e scambi di mail relativamente recenti mi fecero ribadire il concetto.

Verissimo, CS è iniziato sui social network, lì ha fatto il suo percorso, un percorso che dopo cinque anni si è concluso per una precisa scelta. Tra le motivazioni oltre al dibattito neutralizzato c'era la sensazione persistente che si stesse giocando su un campo con arbitri del tutto parziali che cercavano di ottenere ogni tipo di vantaggio dalla situazione (su mandato politico). Era una partita che valeva la pena di giocare? Era uno sport che aveva un senso? Queste domande riassumono in modo conciso i motivi di quella decisione, elaborata a partire dalla visione di un film. francese anche quello:



Capita di rado di vedere un film intelligente riguardo i social network e questo lo fu. Intelligente, quindi fastidioso, per molti. Si tratta della storia del linciaggio sociale e mediatico di uno scrittore quando si scopre che è lui ad essere dietro ad un account twitter deliberatamente e violentemente provocatorio (assieme a qualche amico che però lo rinnega come se non fosse corresponsabile). Un film che in me ha lasciato una traccia e che ancora ricordo bene.

Quando abbandonai twitter (prima che Musk ci mettesse sopra le mani e non certo in vista del suo arrivo - ragioni più serie) qualcuno mi disse  "twitter però è politicamente rilevante". Ebbene, le società che ritenevano twitter politicamente rilevante si meritavano davvero il peggio del peggio, che è esattamente quello che stanno avendo. Già quando lasciai twitter mi chiedevo se allora fosse realmente possibile un uso significativo dei social network . Mi diedi una risposta e finì così. Una decisione irreversibile.

Di questi argomenti ho parlato privatamente anche di recente con più di una persona e certo: restare nella propria bolla provando ad allargarla ed evitando sterili flame è un'opzione e la cosa può essere utile per scambio di idee, promozione di articoli, libri o eventi, eccetera eccetera. Ma io non ho libri o eventi da promuovere e, come dissi nel post di addio già linkato, CS era nato per bucarle, le bolle, non per fare la bolla contro le bolle o costruire una community (tantomeno una fanbase). Quanto a questo blog, se vogliamo parlare di "soldi del Monopoli", senza sponda social continua a fare quasi centomila visualizzazioni l'anno, che sono qualcosa ma niente di eclatante. Una faccenda di nicchia e a me sta bene così, ogni tanto un tema si riesce ancora a farlo circolare. 




mercoledì 26 febbraio 2025

IL LITIO E' RICCO, SI', MA DI LITIO

 

Mi è stata inoltrata con il seguente messaggio: "Corriere della Sera. Quadretto perfetto per descrivere la deriva culturale di un Paese." 

E non aggiungo altro, se non che lemaledettebasi continuano a mancare ed è una mancanza cronica.

Addendum: la cosa ha provocato domande dai lettori:


 

martedì 25 febbraio 2025

CRISI DEGLI OPPIACEI E UNA NOVITA': SUZETRIGINA

 

https://www.cdc.gov/overdose-prevention/about/understanding-the-opioid-overdose-epidemic.html

Dal '99 al 2022 circa 700.000 persone sono morte per overdose da oppiacei, negli USA. Circa 80.000 decessi nel solo 2022.

Su una cosa devo dare ragione a RFK jr: la crisi degli oppiacei in USA comincia con la prima, scellerata gestione Woodcock di FDA e l'approvazione di Oxycontin, un antidolorifico oppioide che avrebbe dovuto essere migliore di morfina e codeina, con una ridotta capacità di indurre dipendenza. Invece provocò un'ondata di dipendenza iatrogena da oppiacei : ovvero i medici prescrivevano ossicodone per dolori postoperatori e post-traumatici e una significativa percentuale di pazienti diventava dipendente. In breve vennero fuori studi medici che altro non erano che fabbriche di prescrizioni che lucravano sul mercato della dipendenza da oppiacei. Su questa storia ci hanno pure fatto un film (Crisis, 2021, con Gary Oldman) e una serie (Dopesick, 2021, con Michael Keaton). I numeri non sono solidissimi, ma sembra che tra coloro a cui sono prescritti oppioidi uno su tre sia a rischio di dipendenza e uno su otto a rischio di morte per overdose.

Come si vede dal grafico la cosa è completamente sfuggita di mano a partire dal 2013 con la terza ondata, provocata da fentanyl e, a sorpresa, tramadol, che qualcuno forse ricorderà come la droga dei miliziani dell'ISIS. Il fentanyl, che viene trafficato ormai da tempo dai cartelli messicani, è diventata un'autentica piaga sociale


Il questo panorama desolante a gennaio si è verificato un fatto nuovo. La suzetrigina, un antidolorifico sviluppato da Vertex, è stato approvato da FDA.

Suzetrigina

Quale è la novità? Il meccanismo di azione. Mentre gli oppiacei agiscono sul recettore μ nel sistema nervoso centrale (agonisti μ), la suzetrigina è un inibitore selettivo del meccanismo  Nav1.8-dipendente di trasmissione del dolore nel sistema nervoso periferico, e quindi evita i guai caratteristici degli agonisti di μ, primo tra tutti la capacità di provocare dipendenze. Ma c'è un problema: due compresse di suzetrigina al giorno costano 30 dollari, la dose equivalente di un oppiaceo pochi centesimi. Il che fa pensare che per anni saranno al riparo del rischio dipendenza solo i pazienti con assicurazioni o sistemi sanitari disposti a rimborsare il farmaco (sempre meno disposti a farlo), o quelli in grado di pagarselo di tasca propria. Come al solito.

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...